La fine della storia

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LA FINE DELLA STORIA

La scienza è un’equazione differenziale.
La religione è una condizione al contorno.
Alan Turing

Cambridge, Massachusetts, Harvard University, 2561
Lectio Magistralis del Professor John Hiding
Cattedra di Crittologia Protoclassica

Egregio Rettore, Illustre Preside, gentili colleghi, amati studenti, è con sommo onore che mi accingo a tenere questa mia ultima e breve dissertazione prima di lasciare definitivamente una delle più prestigiose università del nostro grande impero mondiale, presso la quale ho svolto devotamente la mia attività di crittologo nel corso di diversi decenni, contribuendo ad arricchire non poco la già ampia letteratura critica intorno ai proto linguaggi cifrati risalenti alla fine dello scorso millennio.

Come sapete gran parte della mia lunga carriera l’ho dedicata da un lato all’analisi dei diversi sistemi di crittografia basati su cifrature polialfabetiche, chiavi segrete casuali, coppie di chiavi asimmetriche, cifrari perfetti resistenti a ogni attacco, e dall’altro lato alla disamina dei diversi metodi di crittoanalisi fondati su dispositivi a schede perforate, computer quantici a correlazione, algoritmi combinatori o sequenziali, attacchi a boomerang o a scorrimento, usati soprattutto durante le antiche guerre mondiali e poi nel corso di azioni vetero-terroristiche a carattere internazionale. Nel corso degli anni la mia ricerca crittologica si è poi concentrata sull’utilizzo di messaggi cifrati da parte dei grandi boss della criminalità organizzata di fine millennio, chiamati più comunemente “pizzini”, curiosi foglietti su cui venivano impartiti ordini in codice alfabetico o numerico per controllare i mercati della droga e delle armi, per ordinare rappresaglie ed esecuzioni capitali e per gestire i rapporti con il Clero e con lo Stato.

Tutto ciò mi ha portato a soggiornare per lunghi tempi in quella che era allora la penisola italica, patria di tutte le mafie e scuola indiscussa dei più tipici reati mafiosi: contrabbando d’armi, riciclaggio di denaro sporco, traffico di stupefacenti, omicidi a vendetta incrociata, punizioni esemplari e quant’altro si possa immaginare di criminalmente organizzato. A lungo andare però i sistemi di cifratura e i relativi metodi di decifrazione si sono entrambi evoluti, cosicché quando si arrivò al cosiddetto cifrario perfetto impossibile da decriptare, si sperimentò di contro un nuovo tipo di attacco ancor più subdolo e sofisticato basato sull’intercettazione. In barba a teorie, leggi, algoritmi, contrassegni da applicare a testi scritti, la registrazione segreta di telefonate private o di conversazioni in ambienti chiusi permetteva di ascoltare direttamente le parole dei soggetti, soffermandosi tutt’al più a decifrare espressioni allusive in base al contesto dei discorsi.

Viaggiai dunque per molti anni lungo il territorio peninsulare alla ricerca dei più svariati archivi di microfilm in cui erano state conservate le intercettazioni telefoniche tra padrini e santisti, tra sgarristi e picciotti, tra vangelisti e trequartini, tra bartoli e stelle, che gira e rigira però, alla fine, dicevano sempre le stesse cose. Insomma, per quanto l’ambito criminale fosse piuttosto articolato, stringi stringi non si faceva altro che parlare di morti ammazzati, macchine esplose, cadaveri incaprettati, scariche di lupara, vendette d’onore, tutte cose per noi inconcepibili che viviamo in un mondo in cui ogni forma di criminalità non ha più ragion d’essere, e che anche per un archeologo dei reati mafiosi come me alla fine si rivelavano terribilmente noiose.

La mia carriera di crittologo protoclassico sarebbe dunque continuata su questa china scialba e monocorde se un giorno per puro caso non mi fossi imbattuto in qualcosa di anomalo. Mi trovavo nell’allora biblioteca nazionale della capitale italica, dove due millenni e mezzo di anni fa era sorto il preistorico romano impero, e passando al vaglio certi faldoni contenenti registrazioni relative ad alcune rappresaglie camorristiche me ne capitò uno tra le mani contrassegnato da una strana sigla formata da quattro lettere: “R. U. B. Y.”, che tanto assomigliava al nome di un algoritmo come il ROT 13 o “eccesso tredici” consistente in uno dei più antichi cifrari monoalfabetici. Sorpreso che mi fosse scappato un tale documento, probabilmente cruciale per la mia ricerca, mi affrettai ad aprire l’involucro e a visionarne il contenuto.

A tutta prima si trattava di semplici tracce sonore che riferivano di dialoghi tra politici e dirigenti, i cui contenuti venivano evidenziati da un montaggio di fotografie, raffiguranti i volti degli interlocutori e dei vari soggetti di cui si parlava. Gli argomenti trattati erano perlopiù raccomandazioni a fini politici, accordi per appuntamenti privée, coperture su transazioni e bonifici, reclutamento di escort o accompagnatrici. Insomma, niente di che, ordinaria amministrazione dei bei tempi che furono, nulla in realtà di più accattivante di quanto non fossero le vendette mafiose e gli attentati dinamitardi.

Poi però, continuando a visionare qua e là, cominciarono a saltar fuori alcuni video consistenti in scene disegnate che illustravano incontri tra persone o conversazioni telefoniche, i cui contenuti venivano interpretati da voci recitanti. E qui la faccenda si faceva davvero più intrigante. Tali personaggi si accaloravano infatti intorno a festini organizzati in palazzi del potere, a cene goliardiche tra vecchi babbioni e fanciulle svampite, a spogliarelli danzanti seguiti da travestimenti eccentrici, tutte cose, anche queste, per noi inconcepibili che viviamo in un mondo in cui ormai la riproduzione della specie è affidata alle tecnologie più avveniristiche e ogni forma di intrattenimento erotico o sentimentale appare come un’enorme assurdità. Eppure a quei tempi una semplice faccenda di piaceri peccaminosi e di licenziose abitudini aveva scatenato una gazzarra che non finiva più. Da altri documenti veniva fuori infatti che per un verso la gente per bene si era indignata, i politici di opposizione avevano gridato allo scandalo, i grandi prelati, ancorché pedofili, avevano invocato flagelli per tali peccati, e che per l’altro verso il popolino si era appellato ai liberi costumi, i politici al governo avevano denunciato il complotto, il premier stesso, coinvolto in prima persona, si era abbandonato a crescenti manie di persecuzione. Insomma, altro che omicidi o attentati! Stavolta la faccenda si faceva davvero irresistibile, non tanto per la cosa in sé, quanto per la piega che alla fine aveva preso.

Ormai rapito dalla gran cagnara che era stata montata intorno a una storia in fondo di culi e di tette, feci ulteriori indagini per capire come si erano evolute le cose. Visionando copie microfilmate di giornali dell’epoca venni a sapere che la Procura della Repubblica aveva intentato un processo nei confronti del Presidente del Consiglio per i reati di concussione e prostituzione minorile. Da qui ancora sdegni, proteste, invettive, discrediti, attacchi, denunce in un crescendo polifonico di voci degno dei migliori corali di mille anni fa! Mi buttai allora a capofitto a cercare quelli che dovevano essere stati gli esiti processuali, tanto per capire come erano andate a finire le cose e soprattutto chi aveva avuto ragione tra le due schiere di oppositori! Ma per quanto cercassi in tutti i recessi, risalendo a fonti remote e violando documenti segreti, non riuscii a trovare la ben che minima traccia di quel processo. Niente di niente, zero spaccato, come se non fosse stato mai celebrato.

Ormai però c’ero dentro fino al collo. Senza accorgermene avevo abbandonato il mio lavoro da settimane e non avevo fatto altro che perdermi in questo assurdo cancan di cinque secoli e mezzo fa. Perché infatti le vicende dell’epoca risalivano all’anno 2011, in cui ricorreva il 150° anniversario dell’italica unione e tutto il Paese si stava apprestando a realizzare grandi festeggiamenti. Ora io sono un crittologo e non uno storiografo, ma ricordo bene che allora l’Italia era sì una, ma poi non così troppo unita e compatta. Infatti a Nord c’era una Lega di stampo secessionista che già da tempo fremeva per attuare il federalismo fiscale e sganciarsi per quanto possibile dal resto dello stivale. Al centro c’era lo Stato Vaticano che decideva il bene e il male dei costumi del Paese e questa storia di puttane a servizio di uomini del potere non l’aveva presa tanto a cuor leggero. A Sud infine, oltre alle mie amate mafie, c’erano continue pressioni di profughi politici dagli insorti paesi africani che minacciavano la stabilità dell’intero territorio. Insomma non era un bel quadro per festeggiare l’unione patriottica, sebbene le italiche genti sembrava proprio che ce la mettessero tutta.

La mia memoria però non mi aiutava a ricostruire tutti i passaggi e al di là di storie di mafie locali non mi era mai capitato di soffermarmi a fondo sugli eventi di quel periodo. Decisi allora di fare altre ricerche, stavolta presso archivi storici e fondazioni private, mi recai in diverse città dello stivale, soggiornai in antiche abazie e diroccati castelli, intervistai studiosi ed esperti, raccolsi testimonianze di gente comune. E a poco a poco ricostruii una storia che aveva qualcosa di leggendario.

Proprio pochi giorni prima dell’anniversario risorgimentale il Sud del Paese fu letteralmente invaso, non da migliaia di profughi come si temeva, ma dalle truppe militari del regime libico che erano state definitivamente cacciate dai ribelli. Inferociti dall’esser stati scalzati proprio dal loro popolo i generali libici avevano pensato bene di attuare un colpo di Stato nel mezzogiorno italico, facendo leva sugli immigrati clandestini che ambivano a ottenere una cittadinanza, sulle famiglie mafiose che cercavano nuove egemonie nel territorio, e sul malcontento di tanti nostalgici borbonici che non si erano mai rassegnati a essere italiani. Il golpe riuscì a tutto tondo in pochi giorni e quello che più di mille anni fa era stato il Regno delle due Sicilie divenne il nuovo Impero Libico. Quasi per contraccolpo lo Stato Vaticano insorse con veemenza gridando a una nuova invasione barbarica che invece di calare da Nord stavolta incalzava da Sud. Temendo un definitivo naufragio dell’etica il clero sferrò un attacco al Quirinale, espugnò le Camere del Parlamento e insediò nella capitale un nuovo governo cardinalizio, con il risultato di spaccare la penisola più o meno a metà e scongiurare per sempre il contagio degli islamici beduini. Nemmeno a dirsi, secondo un impeccabile effetto domino, la Lega del Nord non indugiò un istante a realizzare finalmente il suo sogno secessionista e con un solo colpo di coda si liberò al contempo dalla Roma ladrona, ormai diventata ancora più ladra da quando era stata invasa da schiere assatanate di preti simoniaci, e dal Mezzogiorno mafioso, reso ancor più criminale da quando era finito in pasto alle truppe assassine dei barbari africani. Così in un battibaleno, quello che allora era la Padania si costituì in uno Stato indipendente, per giunta extracomunitario come la Svizzera.

Confesso che la ricostruzione di questi passaggi, tanto repentini quanto irreversibili, mi lasciò sbaragliato. Sapevo che l’Italia non esisteva più già da diversi secoli e che le sue attuali tre parti erano poi diventate provincie del nostro grande impero mondiale, così come gli altri Paesi europei, ma trovavo davvero paradossale che l’unione si fosse sciolta esattamente dopo un secolo e mezzo – se infatti così non fosse stato proprio quest’anno si sarebbe potuto festeggiare il suo settecentenario – e che per giunta si era verificato il crollo del governo proprio quando il suo capo doveva andar sotto processo! Per cui dovetti apprendere con profondo sconcerto che il tanto catartico processo non era stato più fatto perche era stata disfatta l’Italia!

Ci vollero diversi mesi prima che riuscissi a recuperare la concentrazione per riprendere i miei studi. Tutta quella storia di scandali e complotti, di scontri tra giustizialisti e libertini, di dibattimento intorno a marchette minorili e festini lubrici mi aveva talmente risucchiato nel buco nero della sua irresolutezza che ogni altra cosa mi appariva ormai insignificante. Per diversi anni non tornai più su quello che un tempo era stato il suolo italico, abbandonai persino le mie ricerche sulle intercettazioni camorristiche, mi buttai su noiosissime questioni di crittoanalisi differenziale applicata ad antichi cifrari privi di qualsiasi rilievo, mi disamorai del mio stesso lavoro, alienandomi persino i rapporti con i colleghi e gli studenti.

In realtà dentro di me continuava a covare un grosso tarlo che mi stava consumando a poco a poco, una sorta di chiodo fisso intorno a una chiave che non ero mai riuscito a decodificare e ancor meno a intuire, una sfida al mio stesso ingegno che continuava a pungolarmi senza più lasciarmi andare. Resistetti mesi, anni, poi non ce la feci più. Mollai tutto quello che stavo facendo e tornai nella penisola italica. Misi a ferro e fuoco ogni cosa mi capitasse sotto mano, utilizzai metodi impropri per violare codici e sistemi, feci pressione su autorità, istituzioni, organi e consigli, applicai tutte le conoscenze più evolute in materia di algoritmi crittografici, mi recai persino in Gran Bretagna a indagare intorno ai costumi della marina inglese e in Etiopia a studiare abitudini e reazioni del popolo abissino. Ma per quanto mi dessi da fare, dando fondo a tutte le mie più faconde risorse, continuai a brancolare nel buio senza riuscire a venir a capo di nulla.

E quello fu, a dispetto di tutti i meriti e gli onori che ora qui mi tributate, il più grande fallimento della mia carriera. Così, anziché intrattenermi su qualche mia eccellenza, è proprio con questa nota che desidero lasciarvi e riconoscere, con non poco scoramento, che in tutto questo tempo, facendo appello a tutti i miei poteri, non sono riuscito a capire che cosa diavolo avesse mai voluto dire “bunga, bunga”.

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