Trilogie imperfette – Il ritmo dell’utopia

TRILOGIE IMPERFETTE – IL RITMO DELL’UTOPIA

Pio Marconi
Sociologo del diritto

1. Trilogie imperfette è il titolo, scelto da Alessandra Fagioli, per il suo ultimo volume. Il titolo descrive l’architettura dei capitoli, con dottissimi riferimenti alla logica matematica, alla codificazione dei sistemi formali, alla teoria dei numeri, al senso della tripartizione. La lettura suggerisce anche un sottotitolo: Tempeste mediterranee. Nei racconti che compongono l’opera ricorre un ambiente di sfondo: onde, coste rocciose, arbusti, fusti resistenti, foglie coriacee, sabbie irregolari. È il Mediterraneo: una fessura di mare tra tre continenti, contornata da una folta boscaglia umida. Nelle pagine di Trilogie imperfette appaiono spesso immagini delle rive che delimitano il quadrilatero dei cetacei, un’area marina che bagna la Provenza, la Liguria, la Toscana, la Corsica, un’area nella quale una ricca varietà di balene vive e si riproduce, viaggia e si esibisce, sulla linea dell’orizzonte, in vanitose sfilate, al riparo da imbarcazioni che ostentano bandiera norvegese o giapponese. La costa è fatta di dirupi, di una sabbia granulare, prodotto di diversi minerali, sminuzzati dalla forza delle onde, mai resi impalpabili. È una sabbia che ospita un numero infinito di quarzi, “punti luce” quasi perfetti, o di dorate sfaldature di mica. Frammenti dotati di diversa luminosità, colore, trasparenza: la limpidezza del cristallo, lo splendore dell’oro. Nelle pagine di Alessandra si può respirare la salsedine mediterranea, quella costiera e quella del mare aperto, così come si può sentire l’asprezza del terreno in prossimità delle onde. Un composto di diverse consistenze nel quale pietraie levigate e blocchi di roccia si alternano con zolle fertili che ospitano una macchia odorosa ma a volte una vigna.

2. La trilogia che apre il libro è dedicata a corpi che vivono e che hanno vissuto la minaccia del Mediterraneo. Il primo racconto descrive i sentimenti di due fuggiaschi che non sono in grado di apprezzare il severo paradiso nel quale sono stati condotti dalle onde e da un’esistenza accompagnata da trasgressioni e sanzioni. Il secondo riproduce a due voci la fine di un amore. Un amore che perisce non per mancanza di affetto ma per sovraccarico di passione. «Non mi voleva né come amante né come amica, ma solo come donna da amare, senza limiti né riserve con tutto il trasporto possibile, a dispetto di problemi e di difficoltà, non importava chi fossimo o come vivessimo, esistevamo solo noi due». «Ma mi era difficile condividere una condizione così apodittica e perentoria». La terza narrazione è dedicata ai «bambini di Dio», bambini che vivono, soffrono, transitano per aree toccate dal Mediterraneo e tormentate da conflitti, ideologie, severità delle fedi. Alessandra ha il coraggio di descrivere, senza le autocensure dettate della correttezza politica, la condizione di ragazzini che non hanno mai potuto giocare per strada, ai quali è stato impedito anche l’andare a scuola. Per essi «non occorreva sapere leggere o scrivere, bastava mandar tutto a memoria ed essere bravi a sparare»; costretti ad uccidere dall’infezione dell’ideologia. Bambini indotti a rinunciare alla vita non solo in nome di un credo ma anche in conseguenza del genere al quale appartengono. Obbligati perché ascritti a un’identità, femminile, condannata da una cultura inumana al silenzio, alla subordinazione, al sacrificio.

3. L’ultima trilogia è dedicata alla descrizione della vita e dei conflitti che fermentano in un’area geografica proiettata sul Mediterraneo. Alessandra ricostruisce l’ipotetica lezione con la quale nel 2561 un illustre studioso prende congedo dalla comunità accademica narrando un’esperienza di ricerca condotta sull’Italia del 2011. John Hiding insegna Crittologia Protoclassica e ha lavorato all’interpretazione di ogni tipo di sistema destinato alla cifratura dei messaggi. Hiding ha già lavorato sull’Italia nello studio dei sistemi, non solo criminali, di comunicazione. Sistemi a volte fatti di frammenti cartacei: pizzini. Hiding riferisce alle autorità accademiche la difficoltà e lo stupore che lo accompagnano nel lavoro di interpretazione di un acronimo che contrassegna alcuni importanti faldoni di archivio relativi alla vita civile del 2011. «Una strana sigla formata da quattro lettere. R.U.B.Y.». Un algoritmo? Un cifrario monoalfabetico? Hiding sviluppa la ricerca, scava nella documentazione, apre polverosi fascicoli, trova tracce. Trascrizioni di intercettazioni. Raccomandazioni. Accordi. Immagini del privato. Dalla decrittazione dei frammenti emerge che capovolgendo lo slogan del ’68 (“il personale è politico!”) la politica si dedica, nel 2011, al disciplinamento del personale, alla codificazione dell’intimo. Ritagli cartacei testimoniano una diffusa indignazione. Grida di scandalo. Urla per oltraggi al comune senso del pudore. Nei materiali esaminati nessuna notizia sugli esiti della vicenda archiviata con la strana etichetta, R.U.B:Y. Hiding conclude con una ruvida informazione al suo uditorio. La sua esperienza di studio è nella sostanza fallita. Si era occupato, affascinato dai frammenti d’archivio, di senso del pudore e di acronimi, ma si era dimenticato della sostanza e della Storia. Non si era accorto di un dato non marginale per il lavoro al quale era votato. Nello stesso anno la penisola (che celebrava i 150 anni dell’unità nazionale) si era sfaldata in tre distinte sovranità: levantina al sud, cardinalizia al centro, efficiente e puntigliosa oltre la linea del Po.

4. Quest’ultima trilogia si chiude con un brusco cambiamento del genere letterario. Dalla prosa che era stata utilizzata nella forma del racconto, del diario, dell’orazione, della relazione accademica, Alessandra passa alla poesia e si misura con una «ballata pop» che descrive «i tempi della crisi», in un’area geografica e in un tempo specifico: l’Italia degli inizi del terzo millennio. Non c’è ironia nella scelta dell’Autrice. La ballata che può accompagnare momenti di gioia, di allegria, di ironia è stato un genere letterario al quale si è fatto ricorso per trasmettere il dramma, lo stupore. Con la scelta della ballata Alessandra suggerisce al lettore che la risposta a una crisi può venire da un movimento collettivo coordinato, ritmico, appassionato. La «ballata pop» descrive una degenerazione delle culture che sembra soffocare ogni speranza. Nella Capitale si è formata una terra di mezzo, un territorio fangoso di relazioni, di illeciti, di minacce che ha prodotto profonde alterazioni nella topografia dei poteri, nella cartografia dei bisogni, nella stratificazione dei ceti e degli interessi. Nella terra di mezzo è difficile distinguere l’osservanza dalla devianza, il sacrificio dal ladrocinio, la carità dalla rapina, il diavolo dall’acquasanta.

5. Alessandra descrive l’Italia e la Capitale del terzo millennio come un mondo capovolto nel quale principi e valori hanno cambiato in radice il significato. La morale è diventata premessa di estorsione. Il diritto precondizione di frode. La solidarietà veicolo d’arricchimento. I diritti delle genti motivo di un sudicio trafficare fra imprese. Questo territorio, per Alessandra è abitato da «gente pronta a tagliare la gola e a vendersi come puttane/sapendo bene che si lucra molto più sui negri che sui tossici». Un quadro terrificante. «Peggio di una piovra che ti attanaglia/di un tifone che ti sconquassa/di un conflitto che ti massacra./ Già perché in guerra cadono le bombe/ mancano i viveri, chiudono le frontiere/ma poi a un certo punto finisce./ La crisi no./ Anzi si dilata, si espande». La «ballata pop» è disperata ma non ha una conclusione disperata. Si chiude con un lampo di fiducia, con una speranza, con una proposta. «Io amo questo fottutissimo paese». «Un vero trauma per l’eccesso della bellezza. Tutta seni e golfi, coppe e valli/ indolente e capricciosa, svogliata e superba». C’è una premessa di riscossa. I «tempi della crisi» possono avere un termine. Il rimedio, se cercato, esiste. Constatata l’impotenza dell’etica, del diritto, dell’economia si può brandire un’altra arma. Quella dell’estetica, della bellezza, della creatività, dell’immaginazione e dell’armonia. Ancora qui il coraggio di Alessandra e il suo rifiuto della correttezza politica. Nel mondo capovolto, perfino accennare al bello sembra a volte vietato. Si preferisce parlare di “così detta” bellezza, di cose “diversamente” brutte. La bellezza per Alessandra va invece giudicata, valorizzata, può diventare arma di riscossa. La bellezza può essere in grado di elaborare un cambiamento, connotare un’utopia. «Meglio immaginare un altro mondo possibile piuttosto che contentarsi di quello che c’è./ Ma per farlo non serve lamentarsi o deprimersi,/ non basta incazzarsi o protestare,/ occorre immaginare, inventare, intuire./ Mai come nei momenti di strazio è indispensabile la fantasia,/ la capacità di osservare con altro sguardo le miserie del mondo,/ l’abilità di trasfigurare la mera realtà in simbolo, metafora, allegoria./ Servono i poeti per salvare il mondo non i banchieri». Alessandra non propone un partito (l’idea del Partito della bellezza è venuto a un bravissimo storico dell’arte che è anche un bravo politico) ma suggerisce di lavorare, in tanti, su di una utopia. Un mondo nuovo, di armonia e di equità, di stupore e di candore, in una terra «tutta seni e golfi, coppe e valli/ indolente e capricciosa, svogliata e superba./Non deve dimostrare niente a nessuno, basta a se stessa».