Il luogo del delitto – Arcipelago

Il luogo del delitto – Arcipelago toscano

Curioso destino quello degli arcipelaghi che uniscono isole assai diverse tra loro, aventi in comune la stessa natura geologica, ma spesso non molto altro. Ci possono essere arcipelaghi concentrati oppure piuttosto estesi, composti da poche isole oppure da una miriade di scogli. In genere c’è una proporzione tra le isole, hanno più o meno le stesse dimensioni e solo di rado si trova un’isola molto più grande, a fronte delle altre alquanto più piccole. È il caso dell’arcipelago toscano che almeno tra quelli italiani, e direi tra altri mediterranei, è l’unico ad avere un’isola “madre”, di gran lunga più estesa rispetto alle altre, e sei isole minori assai differenti tra loro, con rari tratti comuni.

Se l’isola d’Elba è stato il luogo del delitto del precedente romanzo (Scacco all’isola, Robin Edizioni, 2020), l’intero arcipelago toscano è il teatro del crimine di questa storia, laddove gli omicidi non si consumano in diversi luoghi della stessa isola, ma in un luogo specifico di ognuna di esse, così da creare tanti scenari quante sono le isole di un arcipelago.

E se ogni isola ha una personalità, un arcipelago ne ha tante, ognuna con la propria anima, identità, indole, fisionomia. Richiamare questi tratti per tutte le isole toscane richiederebbe un trattato, qui mi limito a evocare un aspetto peculiare di ognuna, che mi ha ispirato la ragione per ambientare ciascun delitto.

Il Giglio è il paradiso dei subacquei, ha fondali intriganti e rapinosi, che svelano meraviglie non esposte alla luce del sole ma avvolte in un abisso di misteri, dove di gran lunga vengono adombrati altri gioielli come spiagge, sentieri, scogliere, rilievi. Il suo tesoro è conservato sott’acqua, come se la vera anima dell’isola abbracciasse le sue fondamenta, anziché aleggiare, evanescente, in superficie.

Capraia è terra di transito più che di approdo. Se non ci fosse bisognerebbe inventarla perché fa da ponte tra l’Elba e la Corsica, è l’ultima sponda dell’arcipelago prima di espatriare. Per questo è meta privilegiata dei naviganti, in specie velisti, che fanno rotta sull’isola come fosse un miraggio, per poi staccarsi a fatica dalle sue ipnotiche coste che aprono squarci vertiginosi di lava rossa.

Montecristo invece è peggio della Luna. Si conosce solo la cala di approdo, qualche sentiero sovrastante quell’area, poi è un infinito mistero. Tutto l’interno e il resto della costa nessuno li ha mai visti. Potrebbero esistere come no, se non fosse un’isola intuibile nell’apparire un piccolo monte spuntato dall’acqua. Così chi vi capita ha l’illusione di abbracciarla con un’escursione, ignorando che è solo un effimero assaggio.

Pianosa di contro è un libro aperto. La sua piattezza sembra fatta per non offrire ostacoli o enigmi ai tanti escursionisti che la percorrono in lungo e in largo a piedi, in carrozza, in bici, in canoa, da quando gli ergastolani hanno lasciato campo libero. Ma è solo apparenza. Le insidie possono annidarsi ovunque, non per forza nella natura, ma proprio dove l’uomo ci ha messo lo zampino.

Gorgona dal canto suo è impareggiabile. È l’unica isola penitenziale italiana con il carcere ancora attivo. Eppure non è solo penitenziale, apre anche lei a esclusive escursioni. Così vi approdano familiari di detenuti ed escursionisti della giornata, vi risiedono carcerati di lungo corso e loro insegnanti di scuola. E forse è propria questa la miscela esplosiva che la rende la regina delle isole delittuose.

Giannutri sembra un errore della natura, ma a quanto pare molto felice dato che è una meta di agognato pellegrinaggio. Non solo da parte di naviganti, ma anche di turisti terrestri che cercano l’ineffabile nella sua contorta fisionomia, fatta di grotte, di gole, di poggi, di precipizi. Così anche in un’isola innocente per eccellenza come la più cucciola dell’arcipelago toscano si può annidare il peggiore dei pericoli.

Ma questa storia è un giallo nel giallo, che non parla solo di isole, ma anche di città. Non più province italiane come in Scacco all’isola, ma città europee altrettanto diverse e dislocate. Laddove i luoghi in cui si concentra l’azione sono tutti esistenti, ma i cui particolari sono tutti inventati. Per cui non si creda a tutto ciò che si legge. Il quadro d’insieme è inoppugnabile, ma i dettagli, che danno sostanza alla narrazione, sono frutto di fantasia. Come Emma Lamon insegna.

Perché purtroppo, molto tardivamente, mi sono accorta, mio malgrado, di aver commesso un terribile errore. Non tanto di aver creato un personaggio che scrive, come l’autrice, quanto di aver creato un personaggio che sa scrivere molto meglio di me. Come lo stesso lettore giudicherà.