> Saggi > La trilogia de Il Padrino

image_pdfimage_print

LA TRILOGIA DE IL PADRINO

 Per un’interpretazione antropologica dell’opera di Francis Ford Coppola

  

La decisione di affrontare un’opera così complessa e articolata come la trilogia de Il Padrino di Francis Ford Coppola, ispirata al romanzo omonimo di Mario Puzo, scaturisce dalla presa di coscienza, confortata da molteplici riscontri critici, che il materiale in questione rappresenti, sia nella sua forma estetica che nei suoi contenuti e significati più reconditi, una specie di “laboratorio antropologico” all’interno del quale storia, folklore, potere, giustizia, misticismo e sacralità interagiscono e si fondono in una serie di curiose e insolite alchimie, tutte decifrabili attraverso le chiavi di lettura e gli strumenti di analisi dell’antropologia culturale.

Lungi dal tentare ogni tipo di interpretazione di carattere storico, sociologico, psicanalitico o estetico, intorno cui sono già state operate approfondite tradizioni critiche, si desidera qui focalizzare l’attenzione su alcune chiavi di volta intorno alle quali ruotano i valori e i concetti basilari della filosofia del padrinato: dalla famiglia intesa come nucleo privato e come clan sociale, al potere mafioso articolato da un complesso sistema a gestione criminale, dalla giustizia concepita secondo la discrezionalità del proprio rendiconto, alla sacralità che circonda ogni forma di potere, etica e violenza proprie della mafia.

  

1) Un commento “sacrale” alla storia dei Padrini

 La trilogia de Il Padrino si può senz’altro interpretare come una partitura musicale con esposizione di temi, loro elaborazione, ripresa e ritorno di questi e relative variazioni. Il primo e il secondo film (1972 e 1974) presentano una continuità logica e formale attraverso richiami e sviluppi tematici che si alternano e si commentano in modo contrappuntistico. Il terzo film (1990) conserva gran parte della dialettica tra i temi delle prime due parti, portando tuttavia alle estreme conseguenze alcune dinamiche tra eventi e personaggi ed esasperando certi contrasti nelle singole scene che compongono la storia.

Motore eterno, tema centrale, simbolo e archetipo di tutti e tre i film è senz’altro la Festa intesa come celebrazione sia sacra che profana, di sacramenti cristiani e festività religiose, come di ricorrenze periodiche e cerimonie particolari, attraverso cui viene scandito un tempo ciclico che riproduce se stesso nella sua inalienabile ripetitività, all’interno di uno spazio variabile che offre diversi scenari per celebrare gli eventi.

L’insieme dei festeggiamenti concepiti come manifestazione dell’immenso potere racchiuso nella sacralità dei simboli, delle immagini e degli atti celebrati nelle diverse forme di solennità, si innesta, nello sviluppo della trilogia, in una più ampia logica di potere rappresentata dall’organizzazione protezionistica delle varie famiglie mafiose che gestiscono traffici illeciti e affari criminosi attraverso una fraudolenta amministrazione di enormi quantità di denaro.

La Festa amplifica, commenta, smaschera e scandisce tutti i tratti duplici e opposti appartenenti all’etica mafiosa (i buoni e i cattivi, il vecchio e il nuovo) attraverso una dialettica di ambivalenze che mette a confronto in una sorta di contrappunto sincronizzato, il bene e il male, l’amore e l’odio, la vita e la morte, la realtà e la finzione.

Nella prima parte de II Padrino vengono celebrati in apertura, in chiusura e nel corso della storia i più importanti e significativi sacramenti della vita di un uomo: il battesimo, il matrimonio, il funerale.

II matrimonio di Connie, figlia del Padrino, con cui si apre il film, è una vera apoteosi della cerimonia nuziale svolta con tutti i crismi che la tradizione siciliana e il folklore locale impongono di osservare. In alternanza alle sequenze luminose e chiassose delle nozze si contrappongono le scene girate nello studio del Padrino, immerse in un’atmosfera silenziosa e tenebrosa nella quale si denuncia la violenza dei torti ricevuti e si chiede giustizia attraverso le opportune esecuzioni.

L’altro matrimonio di specie assai diversa, celebrato in Sicilia in una dimensione semplice e modesta, che unisce per breve tempo Mike a una bellezza locale, funge da preludio a un attentato destinato a lui e che colpisce invece la povera ragazza, vittima innocente dei crimini mafiosi.

Durante il funerale del Padrino attorno al corteo funebre, riunito in pompa magna per celebrare la memoria di una tale personalità, si aggirano figure fidate e sospette della Famiglia rispetto alle quali Mike, figlio di Vito e suo erede nel padrinato, dispone le soluzioni appropriate per poter affermare la sua egemonia sul mercato della droga e sui locali di azzardo.

Infine, a conclusione del film, in perfetta sincronia con le funzioni cerimoniali del battesimo del nipote di Mike, di cui egli è padrino, si susseguono una serie di omicidi ordinati da Mike stesso e realizzati da diversi sicari negli stessi istanti in cui il padrino dichiara per bocca del battezzato di rinunciare a Satana e di accogliere in sé la pace e la fede.

Nella seconda parte de II Padrino ritornano, sia nelle sequenze dedicate alla giovinezza di Vito Corleone, sia in quelle girate intorno al padrinato di Mike maturo e potente, i momenti celebrativi riguardanti la comunione, il funerale, il capodanno e la festa padronale.

E’ difatti il funerale a segnare l’overture della parte ambientata in Sicilia ai primi del secolo, durante il quale Vito bambino, che segue al fianco della madre il feretro del padre uccisogli da un capoclan mafioso, assiste all’assassinio del fratello da parte degli stessi sicari della famiglia avversaria.

Come introduzione alla storia centrale del film imperniata sulle azioni del neo-padrino Mike segue la comunione di suo figlio Anthony, svolta anch’essa con grande spettacolarità cerimoniale, durante la quale si contrattano munifiche opere di beneficenza insieme a sfide tra potenti basate su minacce e ricatti di ogni sorta.

Piuttosto anomalo nella sua sacralità risulta essere il veglione di capodanno, tanto celebrativo quanto melodrammatico, tra i cui fasti di musica e rinfreschi si smascherano i tradimenti sottesi ai forti legami di sangue, come quello di Fredo nei confronti del fratello Mike, e si eseguono efferati delitti in nome della giustizia di Famiglia, la cui logica si sviluppa attraverso una sorta di cinica ineluttabilità.

Altrettanto sconcertante e significativa risulta infine essere la festa del patrono celebrata in una New York degli anni venti, con tanto di processione religiosa e partecipazione popolare, che funge da fastoso scenario teatrale a un abile omicidio premeditato, quello del boss mafioso Fannucci da parte di Vito giovane, perseguitato e ricattato dal suo “aguzzino” di cui diventa presto “carnefice” attraverso l’ etica mafiosa del farsi giustizia da sé.

Nell’ultima parte della trilogia il concetto di Festa viene spinto talmente oltre il suo stesso valore di potenza sacrale da essere per un verso sublimato nell’investitura papale offerta a Mike per le sue azioni benefiche e per altro verso dissacrato durante un’altra festa locale in onore della Vergine.

La cerimonia del Consiglio dell’Onoreficienza Papale che investe Mike delle insegne dell’ordine di San Sebastiano martire, facendolo commendatore dell’ordine dei poveri, dei bisognosi e degli infermi, porta all’estreme conseguenze la parabola del Padrino, ora come non mai estremamente potente e temuto dal mondo intero, seppur inesorabilmente solo e distante dai suoi familiari.

La paradossalità della celebrazione (un vero tripudio di tutte le forme di potere temporale e secolare riunitisi in nome della Santa Chiesa) si manifesta eloquentemente attraverso l’assegnazione di uno degli onori più grandi da parte della massima autorità ecclesiastica a un uomo distintosi per aver fatto della violenza un modello per esercitare la giustizia e del crimine uno strumento per accumulare la ricchezza.

Il potere del denaro dunque corrompe anche le più alte vette dell’etica cristiana dal momento che si santifica un criminale, si benedice un assassino, si inneggia a tutto il suo operato di beneficienza senza valutare attraverso quali azioni funeste sia stato realizzato.

Spostando l’attenzione sull’episodio dedicato all’omicidio di Joe Sasa, ex alleato dei Corleone poi traditore al servizio della Santa Sede, da parte di Vincent Mancini, nipote di Mike e aspirante erede al padrinato, ci si accorge come il valore della sacralità della festa in onore della Madonna venga completamente violato attraverso la dissacrazione del rituale.

Durante l’inseguimento e poi l’esecuzione del delitto, la processione viene disturbata e interrotta, il corteo viene disperso per le strade, la statua della Vergine rovina a terra in mille pezzi e la folla si accalca confusa in preda al panico.

Questa volta l’assassinio non viene consumato soltanto in concomitanza di un evento sacro, ma irrompe sulla scena senza compiersi altrove o nascostamente come succedeva nelle sequenze precedenti, con il risultato di stravolgere il senso stesso della Festa convertendolo in un angoscioso momento di lutto.

In questo modo, dunque, laddove si celebra la vita di un neonato si dissemina la morte, laddove si festeggia l’unione di due sposi si complottano omicidi, laddove si commemora un defunto si ordiscono trame di vendetta, laddove si onorano le figure sacre si diffondono il terrore e la violenza.

Sembra quasi che tutta la trilogia sia pervasa da un atteggiamento antimanicheo in cui il bene e il male si confondono, la vita si intreccia con la morte, il troppo amore verso la propria famiglia si tramuta in feroce odio verso gli altri, fino al punto che è difficile distinguere la realtà della Storia dalla finzione dell’Arte, come succede nel finale della terza parte de Il Padrino in cui la realtà degli eventi si commenta attraverso le simbologie contenute nella messa in scena di un’opera lirica.

Non si tratta allora di una cerimonia religiosa o di un festeggiamento popolare, quanto piuttosto di una rappresentazione teatrale (nella fattispecie la Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni) durante la quale compaiono diverse figure mistiche, come la statua della Vergine e il Cristo crocifisso insieme a varie immagini sacre, che fanno da vero e proprio contrappunto ai delitti consumati dietro le quinte e lontano da esse: mentre sfila il corteo mistico dell’opera lirica muoiono pugnalate, soffocate e avvelenate persone di altissimo potere e prestigio, grazie all’infallibile organizzazione dei Corleone che nel frattempo assistono “rapiti” alla performance.

La finzione della storia sacra si mescola dunque con la realtà della cronaca attuale, nella quale, come sospetta giustamente il Padrino, anche la vita del Papa è in pericolo dal momento che tutta la Santa Chiesa si rivela corrotta e degradata, pronta a compromettersi in ogni modo pur di conservare e potenziare la propria egemonia.

  

2) La teologia della famiglia: il privato e il sociale

 Se la Festa rappresenta il topos attraverso il quale si celebra la sacralità di un potere mafioso che cerca di legittimare se stesso tramite l’illegalità, la Famiglia, intesa come nucleo raccolto di persone congiunte da forti legami di sangue e come clan sociale di potenti alleati intorno a interessi comuni, costituisce l’anima profonda di questa mafia, tutta concentrata nel perseguire i propri obiettivi di egemonia economica, anche a costo di usare ogni forma di violenza contro tutti gli avversari con i quali si confronta.

I Corleone sono una Famiglia molto potente, che affonda le sue radici nella più antica cultura siciliana, orgogliosa delle proprie origini e al contempo perfettamente inserita nel mondo nuovo dell’America capitalista. Questa commistione tra diversi modelli di cultura, che da una parte fa sentire il senso di appartenenza alle tradizioni ancestrali della “mediterraneità” e dall’altro permette una completa appropriazione della moderna dimensione del capitalismo, si trova alla base della mentalità mafiosa secondo cui ci si deve associare in una fitta rete di complicità al fine di tutelare i propri interessi a danno di terzi.

La Famiglia diventa quindi una Fede, sacra quanto una Festa, potente quanto un partito, occulta quanto una setta, per la cui protezione si uccide, si corrompe, si tradisce qualsiasi altra entità che le sia estranea. Attorno alla Famiglia orbita quindi un mondo duplice e speculare: da una parte gli amici fedeli, gli alleati fidati, i consiglieri giusti e dall’altra i nemici temibili, gli avversari potenti e i traditori corrotti. Immersa in questa dialettica di opposti la Famiglia è a sua volta divisa tra un antico retaggio che la ancora a schemi stantii di gestione patriarcale e un’attuale ingerenza di nuovi modelli che la proiettano verso una modernizzazione delle proprie imprese economiche.

L’associazione a delinquere creata dai Corleone per proteggere i propri familiari e distruggere le potenze avversarie, subisce nel corso della trilogia importanti evoluzioni che la portano gradualmente a svolte radicali. Tutti i momenti più difficili nella vita dei Corleone vengono vissuti durante i passaggi di eredità del padrinato da padre in figlio, secondo la linea patriarcale che affida la direzione della Famiglia solo alle figure maschili.

Nel primo Padrino si assiste al trapasso di una mafia d’altri tempi, attenta soltanto a tutelare i propri profitti scaturiti dalle attività commerciali, a una mafia rinnovata e amministrata come un’azienda, che gestisce catene di locali per il gioco d’azzardo e controlla gran parte del mercato della droga. La competizione per l’egemonia e il monopolio di tali traffici è prettamente interfamiliare, la lotta tra i vari boss della mafia anima tutta la storia, il terreno della malavita è “lottizzato” dalle diverse famiglie che concorrono al dominio e al controllo degli affari più illeciti.

Nel secondo Padrino lo scenario del gioco di potere si complica e si estende: il nuovo Padrino vuole fare della Famiglia un’impresa legale, capace di operare alla luce del sole come gruppo finanziario che gestisce un’attività prettamente economica, bandendo per sempre ogni forma di illegalità. A questo proposito personale di Mike fa riscontro l’intento più sociale dei maggiori boss della mafia, consistente nell’investire le loro fortune nell’isola di Cuba, trasformandola in un porto franco e integrando l’attività criminosa con le strutture legali del Paese.

La mafia in tal modo, pur continuando a lavorare criminalmente attraverso i suoi strumenti di frode, lucro, estorsione e vendetta, cerca a tutti i costi di legalizzarsi, di diventare quasi un’istituzione riconosciuta e raggiungere così i massimi vertici del potere economico.

Ed è proprio quello che avviene nell’ultimo Padrino, in cui la Famiglia Corleone abbandona il campo degli illeciti traffici di droga e delle disoneste gestioni dei casinò, liquida tutte le sue azioni distribuendole ad altri capi alleati, ed entra in affari diretti con la Santa Sede del Vaticano.

E’ la Chiesa stessa che per colmare il deficit bancario di milioni di dollari (tutti sperperati dal clero corrotto e depravato) chiede aiuto a Mike, il quale, ormai padrone di un immenso capitale, offre seicento milioni di dollari in cambio del controllo dell’Internazionale Immobiliare di cui la Chiesa detiene gran parte delle azioni. A questo modo è il potere stesso a “sacralizzarsi”: «il potere di rimettere i debiti è più forte di quello di rimettere i peccati», commenta un sacerdote banchiere, legittimando l’investimento di un capitale accumulato disonestamente ai fini di risollevare le sorti economiche del Tempio di Cristo.

Il Padrino non può certo desiderare di più di quanto gli è stato riconosciuto dal pontefice in persona, ma purtroppo deve fare i conti con l’alter ego della sua stessa Famiglia: un’altra mafia altrettanto logora e corrotta, parimenti cinica e dissoluta che si chiama Chiesa. E allora la macchina dello sterminio si rimette in moto, la sistematicità delle esecuzioni rivolte a vescovi e cardinali rasenta quasi una paranoia metodica attraverso la quale si compie la giustizia dei Corleone, la cui supremazia trionfa ancora una volta incontrastata anche di fronte agli apostoli di Dio.

Esiste tuttavia un fronte, all’interno dell’ideologia della Famiglia, nel quale crolla tutta l’arroganza del potere, la certezza delle proprie idee, il cinismo della violenza e il senso di giustizia nelle proprie azioni, ovvero quello che rappresenta la dimensione intima e privata dell’uomo solo a confronto con se stesso, abbandonato dai propri cari, tradito dai suoi consanguinei e privato inesorabilmente dei suoi affetti più vitali.

Questo è il dipinto di Mike che arrivato ai vertici del potere con l’Internazionale Immobiliare, risollevata la Famiglia dalla semplice criminalità organizzata, acquisito un capitale così grande da competere con delle autorità di portata mondiale, constata il pieno fallimento nei suoi legami familiari con la moglie, con il fratello e con i figli.

Egli dimostra a se stesso che tutto il suo potere non è bastato a impedire la fine del suo matrimonio, a riparare al tradimento di suo fratello e a evitare l’abbandono da parte dei propri figli: Mike caccia la moglie che ha abortito a sua insaputa per non generare un altro potenziale assassino agli ordini dei Corleone, ordina di uccidere il fratello che tradendolo aveva permesso ad altri di attentare alla sua vita, perde infine il rispetto e la fiducia di suo figlio che lo sospetta di fratricidio rifiutandosi di seguire le sue impronte.

Ma la prova più sconcertante di tutte, cui il padrino a causa del suo potere viene sottoposto, è la perdita del suo affetto più grande, la figlia Mary, uccisa da un proiettile, destinato a lui, sulle scale del Teatro Massimo di Palermo dove si era appena rappresentata l’opera lirica interpretata dal figlio Anthony. Degna della migliore tradizione shakesperiana, la scena è una vera tragedia di famiglia: una volta riunitisi per l’occasione tutti i componenti della Famiglia che erano stati di visi per anni, cade su di loro lo strazio di una perdita tanto dolorosa e crudele quanto assurda e ingiustificata.

Come nel finale del King Lear, Mike abbraccia disperato la figlia caduta vittima dell’attentato e con un agghiacciante urlo muto esprime tutto il suo immenso dolore per scorgere in una creatura innocente il simbolo di quel male che aveva tanto esorcizzato per i suoi cari e che ora vede concretizzarsi sotto i suoi occhi, attraverso l’ineluttabilità di un destino che nemmeno tutto il suo potere era stato capace di fermare.

Osservando la continuità narrativa all’interno della trilogia, si può dunque notare che se il primo film è imperniato sulla costruzione e solidificazione della Famiglia intorno a un sempre più deciso e motivato Mike, il secondo film evidenzia l’inizio di un disagio interiore e profondo del Padrino nei riguardi della sua famiglia, fino ad arrivare nell’ultima pellicola a esplodere in una vera e propria crisi di coscienza in cui Mike mette in dubbio non solo tutto il suo operato ma anche la validità di certe scelte, confrontandosi di continuo con gli unici testimoni rimastigli dei tempi passati.

La terza parte de II Padrino è infatti quella più pregna di misticismo e di moralità: la crisi dell’uomo è lo specchio della crisi della Storia giunta ad un’impasse in cui non riesce più a spiegare se stessa. Al termine della sua vita consumata facendo del male agli altri per far del bene ai suoi cari, Mike si interroga macbethianamente sul senso di tutto ciò, sul valore dei suoi atti, sul la giustezza delle sue idee. Non trovando risposte, si confronta con la sua coscienza confessandosi, in un momento di sconforto, con il cardinale Lamberto: «A che cosa serve la confessione se io non mi pento? Io ho tradito mia moglie, ho tradito me stesso, ho ucciso uomini e di altri ho ordinato la morte, ho ucciso… ho ordinato di uccidere mio fratello, perché mi aveva fatto uno sgarbo. Ho ucciso la carne di mia madre… la carne di mia madre». (II Padrino, parte terza).

La confessione si commenta da sé, è tanto nobile quanto mostruosa, tanto sentita quanto snaturata, ma è l’unico momento in cui Mike ammette e dichiara tutti i suoi crimini senza negarli a oltranza come aveva fatto durante i processi antimafia cui era stato sottoposto. Tuttavia il vero momento di pentimento e di redenzione è vissuto da Mike accanto al cadavere di Don Tommasino, vecchio maestro e amico di famiglia, caduto anch’egli vittima delle cosche mafiose. Raccolto accanto al suo feretro il Padrino pronuncia perplesso queste parole: «Perché io ero temuto e tu amato? Io ero onorato e volevo fare del bene. Che cosa mi ha tradito? La mia mente… il mio cuore… Perché tutti questi rimorsi? Lo giuro sulla vita dei miei figli: Signore dammi la possibilità di redimermi e io non peccherò mai più». (II Padrino, parte terza).

Per la prima volta, dunque, accanto al concetto di peccato si affianca quello di perdono: non è più la sete di vendetta che assilla Mike ma è viceversa l’appello alla grazia divina che lo scuote dal di dentro e che fa di quel patriarca temuto e potente qual’era, un uomo indifeso e smarrito di fronte a Dio.

  

3) La dialettica dell’alternanza all’interno dell’opera

 Nella trattazione della trilogia de Il Padrino non bisogna tuttavia dimenticare che si sta parlando di una produzione cinematografica, la quale coniuga la maestria registica dell’autore con le esigenze commerciali di serialità, di modo che non è possibile prescindere nel commento ai film da considerazioni di tipo prettamente estetico e artistico che rispecchiano formalmente i contenuti di carattere storico-culturale osservati finora.

La dialettica dei contrari (i buoni e i cattivi, il vecchio e il nuovo), l’opposizione delle antinomie (il bene e il male, l’amore e l’odio, la vita e la morte) e tutte le ambivalenze di concetti reciproci (giustizia/ingiustizia, legalità/illegalità) vengono coerentemente espresse attraverso un alternarsi di moduli formali, i quali scandiscono quella ciclicità spazio-temporale che abbiamo visto sostenere il tessuto narrativo dell’intera trilogia.

Il primo Padrino è girato tutto attraverso un’alternanza di natura spaziale tra l’interno scuro, tetro e buio dell’abitazione dei Corleone e l’esterno chiaro, fulgido e radioso dei festeggiamenti e delle celebrazioni; tra un’America capitalistica animata dalla violenza e dall’ipocrisia e una Sicilia ancora arcaica e rurale immersa nel suo folklore mistico e rituale, quasi incontaminato dal tempo e dalla storia.

Il secondo Padrino si sviluppa viceversa attraverso un continuum di sequenze temporali alternate, che sembra quasi si parlino e si commentino tra loro attraverso gli eventi e i personaggi che rappresentano: la vita di Vito giovane si intreccia con quella di Mike adulto e l’ambiente caldo e velato dell’America inizio secolo si confronta, come in una sorta di flashback, con un’America anni cinquanta insensibile e fredda.

Soltanto nell’ultima parte della trilogia questa “binarietà” di narrazione, offerta dalla suggestiva tecnica del montaggio alternato che contrappone sequenze di violenza con sequenze di serenità, momenti di successo con momenti di sconforto, viene totalmente a mancare, dal momento che tutto l’impianto formale si complica, si espande e si frantuma in una serie di scene che rispecchiano parallelamente la crisi del potere e la crisi dell’uomo, la decadenza delle istituzioni e la fine della dinastia dei Padrini.

Questo senso di fatalità, sacralità e misticismo che pervade tutta l’opera di Coppola, fino a far trasudare le pellicole di tutti quegli elementi culturali, storici e mentali propri della mafia, porta alla fine a chiederci quanto di cosciente ci sia stato nella trattazione di questi temi da parte del regista e quanto di ovvio e di ignoto si sia nascosto dietro le tante implicazioni contenute nella trilogia.

In questa sede si è cercato solo di dare alcuni spunti di decodificazione antropologica di un’opera d’arte, che per quanto rispecchi e commenti la realtà storica di una società e di una cultura, ne rappresenta sempre il prodotto artistico e creativo di un autore, attraverso cui egli fa parlare la sua coscienza di uomo originario di una remota Sicilia e la sua maestria di regista integrato nell’America attuale.

E’ necessario dunque tener presente anche questa duplicità intrinseca di realtà e finzione, di vita vissuta e invenzione originale, che si inserisce anch’essa in quella logica duplice e speculare sottesa ai tre film, la cui “coerenza” consiste proprio nella sua paradossalità, nei suoi estremismi senza mediazioni e nelle sue contraddizioni prive di opportunità risolutive.

Basti pensare come di fronte a una figura di Padrino così impotente e disperata nel cambiare la sua sorte, si possa arrivare quasi ad amarlo, a comprenderlo, a capire quanto egli stesso, malgrado la sua malvagità, sia una “vittima sacrificale” di un sistema impietoso che non risparmia nessuno, in cui sembra impossibile cercare di cambiare i valori, scardinare i meccanismi e alterare le dinamiche, anche quando si è conquistato tutto il potere del mondo.

 

Share This