La mia prima passione è il mare, la seconda è Shakespeare, la terza è la follia. Anziché farmi paura o suscitarmi diffidenza mi ha sempre sedotto, in tutte le sue forme, storiche, cliniche, artistiche, umane. L’ho studiata, ci ho lavorato, ne ho scritto, quasi a voler capire che cosa ci trovassi di tanto irresistibile. Ho provato a dirlo, più nei racconti che nei saggi, cercando di evidenziarne paradossi, ambiguità, punti di forza. Alla fine ho dovuto ammettere che mi interessava la dimensione dell’alterità e della devianza come territorio di indagine e invenzione, persuasa che proprio in quelle pieghe si potessero cogliere elementi di sagacia e verità. Così ora narro la follia per riflettere sull’arte, racconto la diversità per interrogarmi sul pensiero.
La mia prima passione è il mare, la seconda è Shakespeare, la terza è la follia e la loro sintesi è la tempesta. Sono convinta che se il mare non si agitasse morirebbe di depressione. Quel che ci appare placido e invitante è solo il carattere più sconsolato del mare, solo quando viene ingrossato dalla furia dei venti ritrova tutta la sua creativa gagliardia. L’hanno capito bene i poeti che di procelle e fortunali hanno cantato i prodigi e le rovine, come è accaduto con Shakespeare che ne ha celebrato non solo il fenomeno ma anche la metafora, e se ne La tempesta ha inscenato il prodotto di una magia, nel Giulio Cesare ha evocato il collasso di un impero. Infine cos’è la tempesta se non un delirio della natura? Un disordine, un’inquietudine, un turbamento del mare che tanto riflette l’abisso dell’umana follia. Non a caso da piccola, quando mi incantavo di fronte allo spettacolo di una potente mareggiata, gridavo a tutti: “guardate, il mare matto”.