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Io volevo fare la donna di casa e la madre di famiglia. Non per vocazione, ma proprio per principio. Non mi piacciono le faccende domestiche, al contrario mi fanno venire l’orticaria. Adoro invece abitare la casa, espandermi in tutti i suoi recessi, possedere diversi angoli di rifugio, isolarmi dal resto del mondo e magari ogni tanto trovarvi qualcuno con cui avere a che fare. Non amo nemmeno la confusione, mi irrita l’eccessiva promiscuità, ma decisamente adoro i bambini. So divertirli, raccontargli storie, giocarci per terra. So capire i loro problemi, aiutarli a risolvere, entrarci in empatia. Ma forse perché non sono miei. Temo che se lo fossero non li sopporterei proprio. Ma chi lo sa poi, non ne ho avuti e non mi è mai capitato qualcuno con cui farli.
Perché il problema è proprio questo. Essere finita in una voragine tra due estremi. Da una parte gli impraticabili. Quelli intriganti, diabolici, maledetti, che hanno stoffa da vendere ma non la scuola per rispettarti e si servono di te a piacimento senza alterare alcunché della loro vita. Mariti fedifraghi o amanti indolenti il risultato non cambia: sposati che non si vogliono separare oppure liberi che non si vogliono legare si rimane comunque sospese a fare da riserva o da sollazzo. Dall’altra parte invece gli irrilevanti. Quelli papabili, disponibili, compiacenti che ti fanno il filo ma senza crederci, si aspettano qualcosa ma non si espongono, ostentano scaltrezza ma non hanno sostanza, tanto da farti passare ogni tipo di voglia. Hanno solo l’attenuante di non essere rovinosi, ma la loro inconsistenza li rende insopportabili, al punto da finire con l’evitarli.
Così, dopo essermi dannata con gli impraticabili e astenuta dagli irrilevanti, mi sono ritrovata a stare in casa senza fare la moglie e a intrattenere mocciosi senza esserne la madre. Precipitata in quel baratro tra estremi senza appigli né dislivelli, senza mediazioni né compromessi. Perché io mi sarei pure adattata a qualche sfumatura intermedia, che so, un marito in odore di separazione, un single con inclinazione al legame, un’anima semplice con un guizzo d’arguzia, un carattere eccentrico dotato di spirito critico, insomma un ibrido che potesse stemperare gli estremi canonici che da sempre dividono gli uomini in stronzi o in noiosi.
E invece no, questo non mi è stato dato in natura. Seppure, come diceva Churchill della democrazia, la mia condizione solinga è la peggiore che ci possa essere, eccezion fatta di tutte quelle che mi sono capitate finora. Dunque, dopo tutto, è sempre la migliore di quelle in cui mi sono imbattuta. Per cui di che lamentarsi? Considerando poi che le donne, dal canto loro, possono essere molto più tremende degli uomini. Perché troppe volte mi sono consolata di non essere un uomo proprio per non avere a che fare con una donna. Magari meno eccentrica ma più isterica, forse meno noiosa ma più stupida, senz’altro meno aggressiva ma più evanescente.
Così ho tirato innanzi a fare una vita che non era la mia, ad aspettare qualcosa che non accadeva, a confidare su qualcuno che non arrivava, a sognare una donna che non ero io. Certo, mi sono riuscita a difendere, ho fatto tesoro della mia solitudine, stato di grazia del mio isolamento, beatitudine della mia selvatichezza, senza tuttavia bastare a me stessa. E questo è stato l’intoppo, avvertire la necessità di un interlocutore, un volto, una voce, un corpo, una testa con cui avere a che fare, una testimonianza di esistenza che desse senso alla mia, un’interazione con un essere umano che facesse sentire più umana anche me. E questa irriducibile impellenza mi ha sempre fregato.
In fondo ho guardato ogni volta con stupore donne che prendevano e mollavano uomini come capi di abbigliamento, donne che ne potevano fare del tutto a meno e donne che non potevano staccarsene un attimo, donne che ne raccoglievano uno da piccole e se lo facevano bastare per tutta la vita, donne che ricominciavano ogni volta daccapo seppure deluse, percosse, umiliate.
Io però non sono mai riuscita a trovarmi in nessuno di questi stati, né distaccata né dipendente, né opportunista né subalterna. Ho fatto sempre a mio estro, come mi sentivo e come mi pareva, anche a costo di andare a sbattere il grugno. Ma almeno sapevo che me l’ero cercata da sola e non rischiavo di dare la colpa al malcapitato spacciandomi sempre come vittima o come eroina.
Perché è proprio questo che ho sempre detestato nelle donne. Non darsi mai altra opportunità che non fosse quella di non poter fare alcunché soccombendo al proprio destino, oppure che non fosse quella di reagire a ogni costo credendosi sovrumane. E siccome a me non sono mai piaciute né le disgraziate né le super eroine, sono finita col perdere i punti di riferimento, tanto da smarrirmi in un dedalo di trappole ogni volta che mi innamoravo. Per giunta senza neanche mettere a frutto l’esperienza del momento tanto da non ripetere gli stessi errori, anzi ricadendovi con più virulenza, soggiogata assai più dalle leggi della passione che non da quelle della ragione.
Eppure non nutro rimpianti, né rimorsi, né rancori. Anzi, rifarei tutto se mi capitasse la medesima sorte, se invece me ne capitasse un’altra chissà cosa potrei combinare. Come adesso, ad esempio. Avevo una gran voglia di rimettermi in gioco, una volta smaltite le ultime storie melodrammatiche che come al solito mi avevano ridotto in un’infinità di frantumi, uscendo di nuovo allo scoperto e cogliendo con ringiovanita scaltrezza quello che mi avrebbe offerto la vita. Fiduciosa in un cambio di passo, in un giro di ruota, in un punto di svolta che per destino mi sarebbe spettato. E invece no. Tutto l’opposto. Tra capo e collo è arrivata proditoria la pandemia.
Reclusione, quarantena, distanziamento, protezione, maschera anticontagio e pure antiapproccio, uscite mirate, giretti solitari, panchine proibite… quali condizioni peggiori per un incontro galante? Senza nemmeno più un cinema, un teatro, un concerto, un museo dove per azzardo trovarsi? Ma poi pensi che se non è successo per decenni perché mai dovrebbe capitare proprio adesso? In cui per altro sono tutti in paranoia per la costrizione domestica? Tutti meno me, naturalmente, che invece me la vivo come una pacchia insperata. Senza nessuno che mi rompa le scatole, facendo tutto quello che voglio, godendomi da sola l’intera casa, dando un senso alla vita come mi gira. E forse proprio questo mi ha salvato dall’immensa psicosi che ha contagiato tutti.
Complotti, persecuzioni, autoritarismi, guerre civili, regimi totalitari, colpi di Stato, una visionarietà così virulenta da far impallidire persino la pandemia. Solo perché è stato necessario stare alcune settimane in casa per contrastare il contagio. Roba che questa vita io la faccio da anni. Lo stato di quarantena per me è la routine. Solo che l’ora d’aria invece di farmela in un parco me la sono fatta intorno all’isolato. Per questo forse non sono sprofondata nel buco nero dei deliri collettivi che hanno contagiato tutti con più potenza del virus.
Seppure il vero segreto per salvarsi non era nemmeno nella tanto abusata resilienza, quanto nella insospettata creatività! Perché sarebbe bastato avere un po’ di inventiva per non farsi cogliere dall’ansia di sentirsi ostaggio di un regime assolutista, un po’ di scaltrezza per non sprofondare nell’ossessione di essere preda di complotti assassini, un po’ di fantasia per trovare le giuste strategie di sopravvivenza senza abbandonarsi all’esasperazione, come ho cercato di fare io, nell’inventarmi una vita a misura di quarantena fatta di poesia, musica, pittura, levità, ironia.
Così alla fine ne sono uscita incolume, ma sempre più solitaria e defilata, sociopatica e forastica, con la sensazione di essere una sopravvissuta in un mondo che ha dimenticato l’arte come motore di esistenza, la creatività come soluzione dei problemi, facendosi sommergere dalle paranoie dei nostri tempi che accecano ogni ragionevolezza, mortificano ogni immaginazione.
Mi è rimasta per la verità un’unica speranza. Quella che in tutto questo pandemonio si siano rimescolate un po’ di carte. Il virus è una brutta bestia, disorienta, confonde, sbaraglia, sconquassa. E i risultati possono essere diversi. Ma non mi aspetto grandi epifanie, a volte per spostare il corso di una vita basta un soffio. Tutta sta che spiri, per una buona volta, dalla parte giusta.

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